sabato 14 luglio 2012

'O spread

Che cosa capiscono, i bambini, della crisi?
I bambini ragionevolmente fortunati, intendo: quelli cioè che non sono toccati direttamente da un padre o una madre che hanno perso il lavoro o in difficoltà economiche, ma allo stesso tempo quelli che non vivono in situazioni di privilegio nelle quali i sacrifici imposti dalla crisi sono rinunciare alle vacanze in un hotel di lusso in favore di una delle case di vacanze di famiglia o ridurre i turni del personale di servizio.

Negli ultimi mesi, Re e Sol hanno chiesto più di una volta a me e a Si bemolle che cosa sia la crisi, che cosa significhi, che cosa l’abbia provocata, e noi abbiamo provato a spiegarglielo in modo semplice, ma chiaro. È interessante che nessuno dei due abbia chiesto come se ne possa uscire. Forse perché i bambini (quelli ragionevolmente fortunati in particolare) hanno esistenze ordinate, in cui non riescono a combinare guai troppo grossi, e il meccanismo errore-correzione-punizione rimette tutto a posto, in un tempo non troppo lungo, fino al prossimo errore.

Da qualche giorno, però, c’è un elemento nuovo. Re mi aggiorna in tempo reale sull’andamento dell’indice di borsa italiano, dei mercati azionari europei e dello spread tutte le volte che li vede in tv. Così adesso, oltre ad avere i miei strumenti di lavoro che mi mantengono connesso, ho anche un piccolo informatore che si tende quando la borsa scende e si rilassa quando sale. Non ha capito bene perché, ma è più rilassato se la borsa sale. È una situazione buffa, che però ha anche un risvolto più serio.

I bambini negli ultimi anni hanno visto alcuni genitori di loro amici perdere il lavoro, in alcuni casi dover reinventarsi una vita. Spesso i grandi hanno la tendenza a “proteggerli”, edulcorando le cattive notizie, cercando di fare in modo che la loro vita “normale” sia isolata dagli eventi negativi. Anche Si bemolle e io, quando coinvolgiamo i bambini nelle questioni pratiche della vita familiare, proviamo a risparmiare loro gli aspetti che ci sembrano “inutilmente preoccupanti”, che non significa mentire o nascondere le cose, ma provare a spiegarle in modo comprensibile, lineare, in modo che siano consapevoli di quello che succede, senza che nascano in loro timori irrazionali.

D’altra parte mi rendo conto che io, all’età di Re, ero molto più informato di lui su quello che accadeva nella mia famiglia. Sapevo molte cose e sapevo anche che fossero questioni private, da non raccontare in giro. Re, Sol e Mi fortunatamente vivono in un contesto diverso sul piano familiare, ma sicuramente complesso in generale. D’altra parte, il rovescio di questa medaglia è che non credo abbiano un’idea del valore di tante, troppe cose: della loro vita serena, degli oggetti e dei giochi di uso quotidiano, del tempo e dell’energia che le persone che li amano, a cominciare dalla loro madre a tempo pieno, scelgono di dedicare a loro.

Lo spread e le oscillazioni di borsa di oggi, come le domande sui rapporti genitori-figli e sulle separazioni di qualche anno fa, sono solo un modo per segnalare che la realtà trova molte strade per colpire la sensibilità e la fantasia dei bambini ed entrare nelle loro vite. La lezione più semplice da trarre (se mai ci fosse il bisogno di un’ennesima conferma) è che è inutile provare a nascondere loro le cose, perché tanto le scoprono comunque. Quella più difficile è cercare di essere rapidi a interpretare i segnali e non stancarsi di raccontare, spiegare, domandare che cosa li colpisca, perché il modo in cui il mondo di oggi appare a bambini di dieci, sette, cinque anni può essere molto ingannevole. E si fa molta più fatica a togliere dalla testa di qualcuno un’idea sbagliata a distanza di tempo che a provare a correggerla subito.

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